La rivoluzione ecologica passa anche dal cibo. Ne sono ben consapevoli in Svezia, dove hanno introdotto sull’etichetta dei generi alimentari, oltre alle informazioni nutrizionali e alla provenienza, anche un conteggio delle emissioni di anidride carbonica necessarie per la produzione e la distribuzione dell’alimento. Un accorgimento che, secondo Swedish National Food Administration, potrebbe portare a una riduzione del 50% delle emissioni complessive del settore alimentare.
Ciascun bene di consumo ha un costo ambientale in termini di emissioni di anidride carbonica, che varia innanzitutto in base alla distanza che ha dovuto percorrere dal produttore al consumatore finale. Ad esempio, mangiare un frutto stagionale (come le fragole a maggio) “costa”, in termini di emissioni, molto meno che mangiarlo fuori stagione, perché in quel caso i frutti provengono da paesi esotici o da coltivazioni in serra.
Discorso simile può essere fatto per la carne. Non tutte le carni inquinano allo stesso modo: la carne di bovino inquina circa quattro volte di più della carne di pollo, poiché gli allevamenti bovini (la cui stragrande maggioranza sono in Sudamerica) sono i peggiori responsabili della deforestazione.
Conoscere quanto inquina ciascun alimento è il presupposto per effettuare delle scelte consapevoli e diffondere, quindi, una cultura ecologica anche nell’alimentazione. Lo sa bene la Svezia, che è il primo Stato nazionale ad essersi impegnato nell’emancipazione totale dai combustibili fossili per la produzione di energia (entro il 2020) e che intende sostituire tutte le auto a benzina entro il 2030.
“Non tutte le carni inquinano allo stesso modo” è vero. Ma è vero anche che il prodotto-carne, in generale, inquina molto, molto di più del prodotto-frutta, o del prodotto-verdura, e così via.
Etichette di tale genere potrebbero ulteriormente responsabilizzare gli acquirenti in modo diretto in merito al problema delle emissioni di CO2, ma in modo indiretto anche in materia di altre forme di inquinamento correlato agli allevamenti, di gestione della propria salute (ridurre il consumo di carne riduce notevolmente l’insorgenza di tumori e malattie cardiovascolari) e, non ultimo, di contrasto alla fame nel mondo.
Se dimezzassimo gli allevamenti, le coltivazioni convertibili all’uso umano potrebbero quasi risolvere la fame nel mondo.
… e senza dimenticare poi quanti maltrattamenti si risparmierebbero agli animali, costretti a ingrassare in poco spazio in tempi record e senza vedere quasi la luce del sole…