Pubblicato in: Disastri Ambientali

Wadhams “Ho visto ghiacciai diventare cascate Salviamo la Groenlandia

di pianeta 7 agosto 2019

di Luca Fraioli

«Ho visto cose che voi non vedrete più». Peter Wadhams sembra parafrasare l’androide di Blade Runner. Non ha viaggiato tra galassie e costellazioni, eppure è testimone di un altro mondo, con i poli ricoperti di un ghiaccio che sembrava perenne.

Wadhams tra i ghiacciai
Wadhams tra i ghiacciai

Un pianeta Terra che solo quarant’anni fa appariva molto diverso da quello di questa calda estate del 2019. «Sono tornato l’altro ieri dalla Groenlandia: è impressionante. Il ghiaccio si scioglie così velocemente da generare fiumi che scavano canyon e danno vita a cascate come quelle del Niagara». Wadhams è tra i massimi esperti di ghiacci artici. Professore di fisica oceanica all’Università di Cambridge, ha partecipato a oltre 40 spedizioni al Polo Nord. Ha navigato sotto la calotta artica a bordo di sommergibili militari, raccogliendo dati che già negli anni Ottanta dimostravano un consistente assottigliamento dello strato di ghiaccio che ricopre l’Artico. Poi la crisi climatica è precipitata e nel 2016 ne ha raccontato gli effetti in Addio ai ghiacci (Bollati Boringhieri). Nei giorni scorsi si è congedato anche dalla coltre bianca che ricopriva la Groenlandia.

Professore cosa ha visto?

«Sono stato sulla calotta di ghiaccio e ho potuto constatare che le condizioni sono davvero molto diverse rispetto a quelle che avevo osservato l’ultima volta che c’ero stato, nel 2014. Lo scioglimento ha subito una brusca accelerazione. La settimana scorsa misurazioni da satellite hanno rivelato che si sta sciogliendo il 57% della calotta, una percentuale impressionante. E quello che ho visto sul terreno conferma quei dati: fiumi impetuosi e grandi distese di ghiaccio nero. Ci ho camminato sopra: è lo sporco che si è depositato per secoli, fiocco di neve dopo fiocco di neve. Ora con lo scioglimento dei ghiacci lo sporco diventa più concentrato e rischia di peggiorare la situazione, perché il ghiaccio nero assorbe ancora più calore».

Quante volte è stato in Groenlandia nella sua carriera di scienziato?

«Sei. E in ogni occasione ho visto cambiamenti dovuti al riscaldamento globale. Ma quello a cui assistito pochi giorni fa è senza precedenti. Ormai è un continuo susseguirsi di record: nei giorni in cui ero lì ci sono state temperature di 21 gradi, una cosa incredibile. E nel solo mese di luglio si sono sciolte in mare 200 miliardi di tonnellate di ghiaccio».

Perché dobbiamo temere un Groenlandia verde, come l’avevano immaginata i primi coloni vichinghi?

«Perché dallo scioglimento dei suoi ghiacci dipenderà l’innalzamento dei mari di tutto il Pianeta. Ormai i ghiacciai delle grandi montagne sono molto ridotti e il loro definitivo scioglimento non darà un grande contributo all’innalzamento dei mari. La Groenlandia, invece, è ancora una grande serbatoio di ghiaccio e sarà la principale causa di innalzamento dei mari, con grandi problemi per le città costiere, a cominciare da Venezia».

Stiamo assistendo a un processo inarrestabile?

«No, penso si possa fare qualcosa. Per esempio studiare e sviluppare tecniche per eliminare la CO2 dall’atmosfera. Credo che sia un grande errore concentrare tutti gli sforzi nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Certo, aiuterà a rallentare il riscaldamento globale, ma non lo fermerà. Perché la CO2 che abbiamo emesso negli ultimi 200 anni resta lì e continuerà a produrre l’innalzamento delle temperature. Dunque continuerà lo scioglimento dei ghiacci, l’innalzamento dei mari, l’alterazione delle correnti oceaniche. L’unico modo che abbiamo per fermare tutto questo è catturare l’anidride carbonica e toglierla dall’atmosfera. Molti scienziati stanno studiando soluzioni di questo tipo. Io stesso sto partendo alla volta della California per prendere parte ai lavori della Climate Restoration Foundation, che ha proprio questo obiettivo. Che è poi è lo stesso del Center for Climate Repair che sta sorgendo a Cambridge».

Ma come si fa a eliminare la CO2 dall’atmosfera?

«Ci sono molti modi. Quello che sembra funzionare meglio è usare sostanze chimiche che reagiscono con la CO2, la catturano e la trasformano in qualcos’altro, per esempio sabbia da usare nell’edilizia o combustibili. In America un gruppo di ricercatori usa l’energia solare per ricavare l’idrogeno dall’acqua. Poi fanno reagire l’idrogeno con la CO2 catturata dall’atmosfera e ottengono un combustibile che potrebbe sostituire quelli fossili, evitando così l’emissione di nuova anidride carbonica. Ci sono impianti di questo tipo anche in Canada e Islanda. Insomma, le basi scientifiche ci sono, ora bisogna sviluppare la tecnologia in modo che sia conveniente dal punto di vista economico. Questa è la vera sfida oggi: se la vinciamo possiamo risolvere il problema del riscaldamento globale».

È un risultato alla portata di questa generazione?

«Penso proprio di sì. Si pensi all’energia solare: pochi anni fa era poco più di un gioco, tuttalpiù ci si alimentavano le calcolatrici tascabili. Oggi è una voce fondamentale nella produzione energetica mondiale».

Da settembre a dicembre terrà un corso al Politecnico di Torino. Nelle sue lezioni parlerà anche dei ghiacci della Groenlandia?

«Certo, sarà un capitolo importante del mio corso. E l’anno prossimo mi piacerebbe portare i miei studenti italiani sulla calotta glaciale perché possano constatare con i loro occhi quello che sta succedendo».

Nessuno di loro, però, potrà vedere il Polo Nord come lo ha conosciuto lei all’inizio della sua carriera.

«Già, ormai è un mondo completamente diverso rispetto a quello che ho visto io quarant’anni fa».

(da Repubblica, Martedì, 6 agosto 2019)

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