Si è conclusa con un parziale successo la Conferenza Onu sui cambiamenti climatici di Cancun. Partita circondata dallo scetticismo più profondo, generato dal bruciante fallimento di Copenhagen, COP16 è invece riuscita a sovvertire il pronostico, registrando qualche passo avanti sostanziale rispetto a un anno fa.
La notizia più positiva, senza dubbio, è il cambio di fronte della Cina. Se il colosso asiatico a Copenhagen era stato il primo a mettersi di traverso, a Cancun ha mostrato incoraggianti segnali di apertura, arrivando a chiedere per la prima volta un accordo globale di riduzione delle emissioni (fino ad ora osteggiatissimo). Di certo il nuovo atteggiamento di Pechino è spinto principalmente da motivazioni economiche: la Cina ha puntato più e meglio dell’Occidente sullo sviluppo delle energie rinnovabili, ed è pronta ora, forse più di un anno fa, a raccogliere i frutti. Tuttavia, il peso crescente della Cina a livello economico e politico può, in prospettiva, risultare decisivo nella lotta ai cambiamenti climatici.
Altre sorprese positive provengono dal documento finale di Cancun, approvato per acclamazione, in particolare la costituzione di un fondo verde per il clima a sostegno dei Paesi in via di sviluppo per gli interventi di riduzione delle emissioni e adattamento ai mutamenti climatici. Inoltre, è stato finalmente riconosciuto che gli attuali impegni di riduzione non sono sufficientemente ambiziosi e la necessità dicolmare questo gap per stare al di sotto dell’aumento di due gradi di temperatura. Altro elemento positivo, infine, è l’atteggiamento dell’Europa, che ha tenuto la barra sulla questione della riduzione dei gas serra, pronta ad alzare l’asticella al 30% entro il 2020.
Non mancano però aspetti critici. “Non sono stati definiti e chiariti né la forma giuridica, né un calendario per arrivare al prossimo accordo globale di Durban – scrive in una nota Legambiente – Ci sono poi delle carenze nella parte relativa al secondo periodo di impegni del protocollo di Kyoto, in particolare sull’utilizzo del surplus di emissioni – accumulatosi in questi anni nei paesi dell’Europa centrale ed orientale, in particolare Russia – e il calcolo di riduzione delle emissioni nel settore forestale,soprattutto nei Paesi scandinavi”.