Economia del dentifricio: e se la produzione fosse locale?

di Momia 27 giugno 2012

Chi non usa il dentifricio? Quanti dentifrici, o meglio, quanta pasta dentifricia viene prodotta e venduta in un anno in Italia? Qual è la filiera di produzione, distribuzione e commercio di questo articolo per l’igiene personale? E, soprattutto, questo processo ha un senso?

Questa provocazione mi permette di restituire una visione possibile, matura e condivisibile di ciò che potrebbe essere l’utilizzo delle conoscenze tecniche diffuse in rete e di un pizzico di follia politica.

E’ una piccola nicchia di mercato, quella del dentifricio. I dati che vi espongo risalgono a circa una decina di anni fa e si mantengono in leggera crescita, ma senza variazioni significative.

Il valore del mercato si attesta attorno ai 240 milioni di euro annuali (fonte Massmarket, 2002), per circa 11 milioni di litri di pasta dentifricia, il cui valore al litro è pari a circa 22 euro. Un tubetto standard contiene 75 ml di prodotto, venduto a circa 1,60 euro.

Il dentifricio viene venduto intubato in un dispenser di materiale plastico, e impacchettato in una confezione di cartone. Questo vale per la maggior parte dei dentifrici in commercio. La confezione in cartoncino, oltre a raccontare il prodotto e il brand, ha principalmente una funzione pratica: permette un facile impilaggio del prodotto, e quindi una semplice e razionale pallettizzazione, rendendolo particolarmente idoneo al trasporto.

Vediamo ora la filiera di produzione semplificata e schematizzata, per comprendere meglio. Il dentifricio viene realizzato materialmente in pochi luoghi, dove si concentra la produzione industriale di molti altri prodotti, solitamente cosmetici o parafarmaceutici. Il packaging viene effettuato direttamente in fabbrica, dove arrivano milioni di tubetti vuoti e di confezioni di cartoncino prestampato pronti all’uso. Lì, il prodotto viene intubato, sigillato, inscatolato, pallettizzato e immagazzinato per una pronta spedizione presso un centro logistico. Trasportato a destinazione, il pallet viene prima stoccato e in seguito trasportato alla grande distribuzione, come supermercati e ipermercati (87% dei dentifrici viene venduto in questi centri, fonte Massmarket).

Il cliente acquista la confezione e si reca a casa. La prima cosa che fa è buttare via la scatola. Dopo l’utilizzo, anche il tubetto viene buttato.

I contributi inquinanti, diretti e indiretti, possono essere in estrema sintesi considerati questi:

  • produzione di tubetti di plastica
  • trasporto su mezzi pesanti dei tubetti
  • produzione industriale di dentifricio
  • produzione della confezione di cartoncino
  • trasporto su mezzi pesanti delle confezioni
  • intubazione del prodotto e inscatolamento
  • trasporto del prodotto finito su mezzi pesanti
  • concentrazione in luoghi distanti del prodotto (ipermercati)
  • trasferimento del cliente al Centro Commerciale su gomma e ritorno
  • scarto della confezione e del tubetto plastico

L’impatto importante, ambientale ed economico, diretto ed indiretto, di una tale filiera è comprensibile anche ai meno avvezzi. Il tutto, per un prodotto che ormai è stato codificato e standardizzato pressoché ovunque nel Mondo.

Un dentifricio contiene acqua, principi attivi ed eccipienti. L’acqua è presente in ragione del 75%; il 20% sono elementi abrasivi, fluoro; il resto sono gomme, addensanti e aromi mentolati. E’ un prodotto semplice da realizzare. Un qualsiasi studente in farmacia è in grado di farlo.

Quindi arriviamo allora alla mia provocazione, al mio sogno, alla mia piccola follia politica.

Immaginiamo la farmacia comunale di un quartiere o di un paese. Questa, ha sul retro un piccolo laboratorio artigianale, dove il farmacista, invece di fare il piazzista di supposte, fa il suo mestiere: cioè, tra le altre cose, fa anche il dentifricio.

I principi attivi vengono trasportati presso la farmacia, ma tutto il resto viene prodotto in loco. Il 75% del prodotto è acqua, il 20% sono prodotti abrasivi inerti e di comune reperimento. Il prodotto viene fatto in quantità, e trasferito in dispenser. Da questi dispenser il cliente attinge il proprio prodotto, e se lo porta a casa utilizzando tubetti riciclati. Il cliente si reca in farmacia in bici o a piedi. Il farmacista potrebbe perfino assumere giovani neolaureati e artigiani. Non ci sono scatole da riciclare, tubetti da buttare. Non si usano camion, né macchine.

I contributi inquinanti diventerebbero questi:

  • produzione dei principi attivi
  • trasporto dei principi attivi e degli eccipienti presso la farmacia
  • produzione del dentifricio

Non una differenza da poco, rispetto alla produzione industriale dello stesso identico prodotto. Sogni irrealizzabili, però, senza una coscienza civica collettiva e condivisa, e soprattutto senza coraggio. Forse il tempo (o qualcosa di più incombente) ci spingerà verso queste scelte.

I commenti sono chiusi.