Pubblicato in: Edilizia

Il cemento del futuro è fatto con la CO2

di luca.pistolesi 29 ottobre 2009
Il cemento del futuro sarà bianco come il gesso

Il cemento del futuro sarà bianco come il gesso

Un nuovo materiale potrebbe rivoluzionare il modo di costruire gli edifici nel ventunesimo secolo: si tratta di un particolare tipo di cemento, realizzato immagazzinando e trasformando allo stato solido il diossido di carbonio, cioè la tanto pericolosa CO2, responsabile principale del surriscaldamento globale. La sperimentazione di questo materiale è in corso negli Stati Uniti ad opera della compagnia Calera Biz e ha già suscitato le attenzioni del mondo scientifico americano, in particolare della rivista Scientific American (1).

L’industria delle costruzioni è una delle più inquinanti in assoluto, poiché la produzione e il trasporto dei materiali edili necessitano di molta energia, che proviene sempre, in America come in Europa, da carburanti fossili. L’Epa, l’Agenzia di protezione dell’ambiente americana ha quantificato in una tonnellata le emissioni di CO2 per ciascuna tonnellata di cemento tradizionale prodotta. Il cemento della Calera, invece, ribalta l’equazione perché, secondo quanto sostiene la compagnia stessa, si può produrre una tonnellata di cemento sequestrando mezza tonnellata di CO2. Il processo potrebbe essere ancora più vantaggioso, ad esempio, se la produzione di cemento di carbonio avvenisse nei pressi di una centrale alimentata con i combustibili fossili, che garantirebbe la “preziosa” CO2 necessaria.

Alla Calera Biz. assicurano che questo materiale, simile nel colore e nella composizione al gesso, darebbe garanzie migliori del cemento tradizionale in quanto a durata, solidità e qualità antisismiche. Il principio sarebbe lo stesso delle procedure di carbon capture and storage, con una sola, decisiva differenza: invece di sparare in vena al Pianeta del veleno, lo si potrebbe trasformare in qualcosa di utile e innocuo.

Note
(1)
Cement from CO2: a Concrete Cure for Global Warming? (documento pdf da Scientific American)

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